Codice rosso, legge ipocrita e nemica delle donne

Una legge al ribasso, firmata dal governo gialloverde, che affronta il tema della violenza sulle donne in modo superficiale e senza considerare aspetti importanti quali educazione e prevenzione.

A presentare questo disegno di legge è un Governo a guida Lega-M5S, la stessa maggioranza che ha incardinato il testo del senatore leghista Pillon sull’affido condiviso, un provvedimento maschilista e reazionario che colpisce le donne più deboli e non guarda al supremo interesse del minore e che rischia di intrappolarle in relazioni violente, mettendo a repentaglio la loro incolumità e quella dei loro figli. Un Governo che, per il tramite del Ministro della famiglia Fontana, dà il patrocinio al “Congresso delle famiglie” di Verona dove la famiglia naturale viene usata come grimaldello per scardinare anni di battaglie di libertà e per affermare tesi retrograde e antistoriche.

Questa è una delle ragioni per cui noi del PD ci siamo astenuti dal votare il testo sul Codice Rosso.

La cronaca ci racconta, quasi quotidianamente, casi di violenza sulle donne, donne che non sono state protette, che non sono state credute o di cui non è stato valutato in maniera adeguata il rischio che stavano correndo; un fenomeno strutturale, che non accenna a ridimensionarsi.

Da parte nostra non c’è stata alcuna preclusione o opposizione preconcetta al cosiddetto codice rosso, che abbiamo invece accolto come un’occasione importante per colmare vuoti normativi e di tutela ancora presenti nel nostro ordinamento.

Su un tema come quello della violenza di genere, infatti, non dovrebbero esserci né divisioni né tentativi di primogenitura, ma è solo grazie alla battaglia dell’opposizione che si è arrivati all’approvazione, all’unanimità, del reato di revenge porn.

Così come evidenziato anche nel corso delle audizioni di magistrati specializzati nelle indagini sulle violenze contro le donne e i minori, il “codice rosso”, così come è stato approvato, rischia di essere “inutile, difficilmente applicabile e potenzialmente dannoso”

Un obbligo così generalizzato ed in tempi così ristretti (il PM deve sentire la vittima entro 3 giorni), appare non utile e, di fatto, corre il rischio di paralizzare gli uffici di procura, perché riguarderebbe tutte le notizie astrattamente inquadrabili nelle categorie indicate, in assenza di un vaglio serio sulla fondatezza della denuncia e, soprattutto, in assenza di una attualità della condotta criminosa e di esigenze di protezione della denunciante; potrebbe dunque essere del tutto inutile anche per chi è chiamato a rendere 3 le dichiarazioni se quelle che ha già rese sono esaustive in relazione ai fatti denunciati ed allo stato delle indagini.

Resta inoltre il ragionevole dubbio che si tratti di una mera operazione di comunicazione e propaganda da parte del Governo. Non si capisce, infatti, perché, se è davvero così fondamentale che la persona offesa, vittima di violenza, debba essere sentita nel giro di soli tre giorni, il Governo inserisce un termine meramente ordinatorio e non perentorio. La norma non prevede infatti alcuna conseguenza legata all’eventuale mancata osservanza del termine di tre giorni. Nonostante ciò, tutti gli emendamenti che raccoglievano tali osservazioni, provenienti dal PD e da altri gruppi di opposizione, ma non solo, sono stati respinti. Resta quindi una norma che nelle intenzioni vuole introdurre una sorta di corsia preferenziale alle denunce, imponendo indagini più rapide, ma che di fatto rischia di essere controproducente